Nel nostro Paese delle
meraviglie c'è chi urla per l'aumento della
disoccupazione e chi, invece, festeggia l'aumento dell'occupazione.
Purtroppo, questi esperti del nulla,
pare che non comprendano che se l'occupazione aumenta, non per forza di cose
deve diminuire la disoccupazione, perché questi termini sono influenzati
da diverse dinamiche, che ho cercato di sintetizzare nell'analisi che
segue.
Andiamo a conoscere i veri dati e cerchiamo di capirne qualcosa in più.
Vediamo gli
occupati. Per offrirvi un panoramica più ampia, ho allungato di qualche
anno l'orizzonte temporale, considerando gli occupati con età superiore
ai 15 anni, dal 2004.
Questo è il grafico:
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Grafico 1- elaborazione su dati Istat |
Si osserva che, dai picchi del 2008 - dove ad aprile gli occupati raggiunsero 23.544.000 unità - l'Italia ha perso quasi 1.800.000 occupati. Mentre da gennaio di quest anno il saldo è attivo di circa 100 mila unita (ci si riferisce ai dati di settembre 2014).
Il grafico che
segue, invece, rappresenta la dinamica della forza in cerca di
occupazione, che sommata alla forza già occupata di cui al grafico
precedente, restituisce la forza lavoro complessiva.
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Grafico 2 - Elaborazione su dati Istat |
Si osserva che la forza in cerca di occupazione, dal 2008, è aumentata di circa un milione e ottocentomila unità,
a fronte di una perdita di posti di lavoro di circa un milione e
centomila. Quindi, in buona sostanza, diminuiscono gli occupati e
aumentano le persone in cerca di occupazione, ma in maniera più che proporzionale alla diminuzione della persone occupate.
E quello che segue è il grafico della forza lavoro complessiva (occupati+disoccupati)
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Grafico 3- Elaborazione su dati Istat. |
Da questo
grafico si osserva abbastanza limpidamente che dalla metà del 2011
esplode sia la forza in cerca di occupazione (disoccupazione), sia la
forza di lavoro totale, che viene, almeno parzialmente, influenzata
dalla prima. Per contro, a quell'epoca (2011), sembra che la dinamica
della forza lavoro in cerca di occupazione non sia stata influenzata da
una diminuzione dell'occupazione che, per tutto il 2011 e parte del
2012, sostanzialmente, rimane stabile vicina ai 23 milioni di occupati
(vedi grafico 1).
Da ciò se ne deduce che è aumentata la popolazione attiva.
Infatti, nel
grafico che segue, che rappresenta il tasso di attività (cioè il
rapporto tra popolazione attiva e la popolazione in età lavorativa,
aumentato di quasi 2 punti percentuali), sembra confermare questa
ipotesi. La popolazione attiva è la parte di popolazione di uno stato
che è in grado, salvo impedimenti temporanei, di svolgere legalmente
un'attività. Nel nostro caso è aumentata.
Mentre il tasso
di occupazione, ossia il rapporto tra il numero di occupati e la
popolazione, crolla di circa 3 punti percentuali. 

Da questo breve ragionamento se ne deduce che la perdita di posti di lavoro intervenuta dall'inizio della crisi ha determinato l'esplosione, in modo più che proporzionale, della forza in cerca di occupazione.
Questa dinamica potrebbe essere giustificata essenzialmente da due fattori:
1) L'incremento della popolazione attiva, anche per via di flussi migratori: il
grafico che segue lo conferma. Si osserva che per quanto riguarda gli
immigrati, la forza lavoro (occupati+ disoccupati) aumenta
esponenzialmente dal 2006, passando da 1.3 milioni a 2.7 milioni di
persone del 2012 (ultimo dato Istat disponibile). Gli occupati, dal 2006
al 2014, aumentano di un milione (linea blu)
2) L'incremento
della popolazione attiva è determinato anche dalla necessità di
colmare la caduta dei redditi per via della crisi, quindi si cerca di
lavorare tutti, magari lavorando meno ore.
Infatti, la
popolazione inattiva (cioè coloro che non cercano lavoro) scende di
quasi 600 mila unità: da 15 milioni del 2011 si passa ai quasi 14,4
milioni attuali. Il grafico che segue ne è la conferma:
Dicevamo che
l'incremento della popolazione attiva è dovuto anche alla necessità di
integrare dei redditi del nucleo famigliare diminuiti o venuti meno per
via della crisi. Infatti, osservando i dati Ocse emerge che, dal 2008,
sono più che raddoppiati i lavoratori a tempo parziale, ossia (secondo
l'Ocse) coloro che lavorano meno di 30 ore settimanali perché non sono
riusciti a trovare un occupazione con orari di lavoro maggiori.
In effetti,
come si osserva dal grafico che segue, sempre secondo i dati Ocse,
aumenta l'incidenza dei lavoratori part-time, sia sul totale della forza
lavoro che sul totale degli occupati. Da osservare il 2003, anno in cui
è entrata in vigore la Riforma Biagi, in cui si assiste ad un aumento
repentino dei lavoratori part-time.
A conferma della dinamica appena enunciata, vale la pena analizzare il grafico in seguito riportato.
Si osserva che
il numero degli occupati che lavorano almeno 40 ore settimanali (scala
dx), crolla dai 14.4 milioni di unità dal 2008 fino ai 13 milioni del
2013. Al tempo stesso diminuiscono marginalmente anche il numero di
occupati che lavorano tra le 35 e le 39 ore settimanali (scala sx);
mentre aumenta la forza lavoro occupata con orari ridotti.
Per concludere il nostro ragionamento, ripropongo un grafico che avevamo già proposto qualche
settimana fa, dal quale emerge la drammatica condizione del lavoro in
Italia, soprattutto in riferimento agli inattivi (14.1 milioni) e ai
giovani non occupati e non in istruzione e formazione (Neet)
Conclusioni:
- Dall'inizio della crisi gli occupati sono diminuiti di oltre 1,1 milioni di unità:
- I disoccupati sono aumentati di circa 1,8 milioni di unità.
- La divergenza fra queste due grandezze (diminuzione occupati e aumento disoccupati) è dovuta al fatto che è aumentata la popolazione attiva, sia per via di fattori immigratori, sia per via del fatto che si tenta di cercare lavoro per integrare la diminuzione di reddito del nucleo famigliare. Quindi, gli inattivi che si mettono a cercare un posto di lavoro fanno aumentare la disoccupazione in maniera più che proporzionale rispetto alle unità di lavoro che hanno perso un occupazione.
- E' aumentato significativamente il fenomeno della sottocupazione, cioè coloro che si accontentano di avere un orario di lavoro ridotto pur di lavorare.
- E' chiaro che tutte queste dinamiche determinino innumerevoli risvolti nella vita sociale ed economica del paese, uno dei quali è stato trattato pochi giorni fa, con questo post (se ne suggerisce la lettura).
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