Tralasciando
per un attimo filosofia e battaglie di parte, vorremmo soffermarci su
un elemento portante della maggioranza delle recenti discussioni: la
questione liquidità.
Stando a quanto espresso da diversi appartenenti al
partito dei “contrari”, la riforma comporterebbe un evidente problema
per le aziende, costrette a versare mensilmente sullo stipendio dei
dipendenti introiti altrimenti presenti sì in bilancio, ma sotto forma
di fondo accantonamento (senza quindi la necessità di fare rientrare
tale cifra in logiche di “cassa”). Un appunto che sembra ripercorrere in
parte il comunicato rilasciato da Federconsumatori,
tramite le dichiarazoni di Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti:
“La
trovata di inserire parte del Tfr in busta paga non ci convince affatto.
Presenta diverse criticità sotto molteplici punti di vista. In primo
luogo per quanto riguarda la tassazione: in che modo verrebbe tassato
tale importo? Sarebbe soggetto alla stessa elevata tassazione sui salari
e ciò è improponibile. Si tratterebbe di una vera assurdità e, a conti
fatti, vorrebbe dire decurtare pesantemente il Tfr dei
lavoratori.Un'operazione simile, tra l'altro, converrebbe molto allo
Stato e al Governo: applicare lo stesso livello di tassazione delle
buste paga comporterebbe, infatti, un aumento degli introiti fiscali di
oltre 5 miliardi di Euro. Un'altra rilevante criticità riguarda,
inoltre, la fattibilità di tale operazione. Molte piccole e medie
imprese non sarebbero mai in grado di sostenerne i costi e si darebbe
così l'ennesimo colpo di spalla alla già precaria situazione
dell'economia interna. Infine, non certo meno importante, sicuramente
tutta questa operazione contribuirebbe a diminuire il peso nella
contrattazione, dal momento le retribuzioni risulterebbero di fatto
aumentate, anche se in realtà non lo sono, ma contengono semplicemente
soldi che già appartengono ai lavoratori. Si tratta perciò di
un'operazione insostenibile e discutibile sotto molti punti di vista,
che maschera l'ennesimo sistema per ricavare introiti da parte dello
Stato”.
Se su tassazione e finalità la questione appare ancora in
divenire, più definita appare la questione sull’impatto in termini di
liquidità aziendale. Una situazione che sembrerebbe stonare non poco con
le convinzioni di Federconsumatori; già, perché la liquidità non verrà
toccata. Per lo meno quella aziendale.
Se la notizia deriva direttamente dalla voce del viceministro dell'Economia, Enrico Morando
“se faremo l'intervento sul Tfr non provocherà nessuna riduzione della
liquidità delle aziende e dal Tfr dei lavoratori non sarà prelevato un
euro in più di quello che viene prelevato oggi” a fare maggiore
chiarezza sulla questione ci pensa l’analisi dell’esperto di politiche
economiche e del lavoro, Stefano Patriarca, che ne ha recentemente scritto sul sito www.lavoce.info, ripreso poi da Il Sole 24 Ore, evidenziando la “ricaduta” del tema liquidità su un nuovo attore. Stiamo parlando delle banche.
“In
pratica la quota di liquidazione lorda maturata tutti gli anni verrebbe
trasferita (totalmente o al 50%) in busta paga in soluzione unica, per i
lavoratori che scelgono questa soluzione, tramite un credito bancario.
Le imprese continuerebbero ad accantonare il Tfr come attualmente
previsto (in bilancio, versandolo all'Inps o a un fondo di previdenza a
seconda della dimensione o delle scelte già fatte dai propri dipendenti)
e pagherebbero l'importo della liquidazione al momento della chiusura
del rapporto di lavoro non più al dipendente, che lo ha già incassato,
ma alla banca (o al fondo bancario) che ha anticipato la liquidità.
In altre parole non verrebbe toccato l'articolo 2120 del Codice civile
che "intesta" alle imprese il debito legato all'accantonamento di questo
"salario differito" dei dipendenti. Semplicemente cambierebbe il
creditore finale: non più il lavoratore ma le banche. Le aziende fino a
50 dipendenti continuerebbero ad accantonare il Tfr con la rivalutazione
prevista dalla legge (l'1,5% più lo 0,75% dell'inflazione) per tutti i
dipendenti che non hanno optato per i fondi pensione. E a quel costo lo
pagherebbero alle banche al momento di cessazione del rapporto di
lavoro. Per gli istituti di credito (da soli o con la Cdp) il prestito
sarebbe "risk free" poiché, in caso d'insolvenza del datore di lavoro,
potrebbero ricorrere allo storico "fondo assicurativo" Inps alimentato
con un contributo dello 0,2% a carico dei datori. La stessa logica si
applicherebbe per le aziende con più di 50 dipendenti che già versano il
Tfr al fondo di tesoreria gestito dall'Inps: l'anticipo bancario nulla
muterebbe sui flussi imprese-Inps e le banche incasserebbero la
liquidazione maturata, a fine rapporto di lavoro, dall'Inps”.
E se così fosse, almeno su un punto, si potrebbe finalmente posare l’ascia da guerra. In attesa di scannarsi sul prossimo.Fonte: ProfessioneFinanza
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