Lo abbiamo detto e ripetuto:
Una perdita impatta molto di più di un
guadagno, quindi recuperare una
perdita è matematicamente complesso
Ovvero: la percentuale di
recupero cresce in modo esponenziale rispetto alla perdita percentuale, ad es. perdere
il 60% significa dover recuperare il 150% solo per ritornare in pari.
A questo punto è chiara
l’importanza di contenere le perdite e, di conseguenza, avere un drawdown più
basso possibile, solo contenendo le potenziali perdite potremo sperare in
montanti crescenti nel tempo.
L’essere umano è
pervaso dal senno del poi e quindi investe sistematicamente nel momento
sbagliato e sul fondo che è andato meglio negli ultimi anni, incurante del
fatto che magari il gestore abbia solamente cavalcato un trend positivo (vedi
il mercato obbligazionario degli ultimi 10 anni) e che probabilmente, nel
migliori dei casi, non riuscirà a ripetersi o addirittura lo esporrà inconsapevolemnte ad elevati
rischi.
L’umana
tendenza ad incrementare le posizioni quando i mercati salgono va ad inficiare
il risultato finale del portafoglio, così come un versamento successivo
importante, prima di uno storno del 25%, massacra il risultato totale,
annullando il precedente guadagno del 100% (e così un cliente nuovo che entra
sui massimi e perde il 25% rischia di essere un cliente perso).
Il
rendimento reale, che tiene quindi conto non solo del rendimento del gestore ma
anche del rendimento legato alla dinamica dei flussi, è sempre molto diverso
dal rendimento del sottostante, inteso come rapporto tra NAV di vendita e NAV
di acquisto.
Un esempio: immaginate
il cliente prospect, molto abbiente, che per anni avete inseguito e che
finalmente il 9 marzo del 2009 (minimo storico, l’S&P 500 quotava intorno a
666) decide di affidarvi una piccola quota, pari
a 100.000 €, per saggiare le vostre capacità. Possiamo dire un colpo di fortuna
memorabile; tra marzo 2009 e marzo 2011 l’S&P 500 raddoppiò. A questo punto
il ricco magnate aveva ormai raddoppiato il proprio capitale da 100.000€ a
200.000€ ed è li che, inebriato da tanto guadagno, capisce di avere dinanzi a
se il vero gestore del suo patrimonio, colui che lo avrebbe guidato
nell’impervio sentiero del Financial Planning. Nel frattempo il mercato, tra
aprile ed ottobre, subisce un massimo drawdown del 25% circa, ma il cliente
capitalizza comunque un +50%, dato che perdere il 25% di 200.000 significa
tornare a 150.000; e vissero felici e contenti. Purtroppo, come ben
sappiamo, la realtà è ben diversa. Difatti il cliente, grazie al solito
maledetto senno del poi, quando secondo voi, oltre al cip iniziale, avrebbe
conferito in gestione il resto dei suoi denari e quindi 1.000.000 di euro? Beh
chiaramente non subito, prima mi dimostri di meritarli e forse dopo…
Come la stragrande maggioranza dei risparmiatori avrebbe avuto bisogno di confermare il buon
andamento del prodotto negli anni precedenti, per decidere solo a quel punto di
acquistare, con il risultato di comprare sui massimi!. Sono coloro che si sentono tranquillizzati e si
lasciano trasportare dal bias del senno del poi, rendendosi conto
troppo tardi che sono proprio gli aspetti su cui ripongono le loro sicurezze a
tradirli…Insomma il fatidico milione lo investe ad aprile del 2011. Come
anticipato prima, tra aprile ed ottobre, il mercato stornò del 25% guadagnando
comunque il 50%. Peccato che lui da 1.200.00 € di aprile sia passato a 900.000
con una perdita di 300.000 su 1.100.000 versati. In conclusione il mercato
guadagna il 50% e nello stesso periodo il cliente perde il 18%. Facile da
spiegare no?
Ultimo aspetto ancor più
paradossale. Il consulente, nonostante che dal 2009 alcune interessanti asset
class legate per esempio all’immobiliare siano ripartite dando vita ad un trend
rialzista notevole, non avrà più il coraggio di investire sui prossimi mega
trend perchè le ferite sono ancora aperte. Ricomincerà, come è sempre successo,
a suggerirle timidamente quando di nuovo il mercato sarà almeno raddoppiato
cadendo nel solito tranello di sempre..
In
sintesi sino ad oggi il sistema ha proposto ai risparmiatori un modello accademico
che, con la sua visione simmetrica del rischio, cozza completamente con
le esigenze del cliente e dell’essere umano in genere. Non pago di ciò molto
spesso viene anche meno alla sua capacità di protezione, dato che ha
cercato di modellizzare una realtà complessa come quella dei mercati finanziari
semplificandola al punto che una deviazione rispetto allo norma minaccia di
disintegrare il portafoglio ( il cigno nero del 2008).
Per quanto io ritenga
sia utile avvalerci del VAR, in tutte le sue declinazioni, a supporto
dell’attività di gestione, parimenti credo sia necessario non viaggiare in
autostrada sempre e solo con lo specchietto retrovisore e che quindi sia
necessario disporre di un supporto dinamico e personalizzato di controllo
del rischio atto ad intervenire dinanzi ad imprevisti.
Fonte: Professione Finanza
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